L’Associazione per i bambini chirurgici del Burlo (A.B.C.) segue e sostiene le famiglie che si trovano ad affrontare il percorso di ospedalizzazione all’ospedale infantile Burlo Garofolo di Trieste, offrendogli un posto in cui stare, un conforto e un sostegno importante, dal punto di vista psicologico e legale

una bimba calcia una palla gialla, con una faccia e un cuore, l’emoji del bacio. La prende e la fa entrare dentro un canestro, sorride in camera.

Quelle che si vedono nell’ultimo video pubblicato sulla pagina Facebook Gocce di Colore di Simona Dabbene e di cui aveva parlato anche VITA, potrebbero sembrare attività normali. Invece non sono affatto scontate, perché Simona, che ora ha quattro anni, è affetta da una malattia che si chiama artogriposi, che provoca una limitazione congenita della mobilità articolare. Alla nascita, aveva i polsi flessi, le ginocchia ruotate e le anche lussate. Per questo motivo, quando aveva otto mesi, ha dovuto viaggiare dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia ed essere ricoverata per due mesi al Burlo Garofolo, l’ospedale infantile di Trieste, eccellenza pediatrica a livello nazionale. I genitori ormai conoscevano la realtà dei nosocomi, avendone già dovuti frequentare diversi, ma non si aspettavano che, questa volta, avrebbero trovato qualcosa di più: il supporto di quella che sarebbe diventata per loro una grande famiglia, i volontari di A.B.C., l’Associazione per i bambini chirurgici del Burlo.

Il sodalizio, fondato nel 2005, affianca i parenti e i bambini che devono affrontare un percorso di ospedalizzazione nel capoluogo giuliano, sostenendoli psicologicamente e attraverso aiuti concreti. L’idea è partita da una mamma e da un papà, che si sono trovati di fronte a un momento estremamente complesso della loro vita. “Il nostro primogenito, Riccardo, aveva un teratoma sacro-coccigeo, un raro tumore che può insorgere nei feti durante la gravidanza”, racconta Giuseppina Battain, fondatrice dell’associazione – insieme a Luca Alberti – e ora direttrice generale, “è nato anzitempo, perché doveva essere operato. Abbiamo dovuto percorrere un lunghissimo iter e adesso, fortunatamente, nostro figlio sta bene, è un diciottenne sano. All’epoca, quando c’era la necessità di dare un senso a un evento così traumatico, abbiamo pensato che forse tutto questo era arrivato per dirci che dovevamo fare qualcosa per gli altri”. Da questa consapevolezza si è sviluppato un progetto strutturato, che ha portato, oggi, a una realtà in cui sono impegnate 12 persone nello staff e 120 volontari, che, negli anni, hanno aiutato centinaia di famiglie, anche a trovare un posto dove stare durante il ricovero dei figli. Si, perché A.B.C. ha cinque alloggi – delle vere e proprie case – che mette gratuitamente a disposizione dei genitori che, spesso, vengono da lontano per stare accanto ai loro bimbi in ospedale. Ed è proprio grazie a questo servizio che i Dabbene hanno conosciuto l’associazione. “Mi ci ha indirizzato il dottore che aveva in cura Simona”, dice Valentina Alba, la mamma, “quando avevamo bisogno di un punto d’appoggio a Trieste. Poi piano piano abbiamo trovato in A.B.C. anche un supporto psicologico importantissimo. Eravamo coccolati, ci sentivamo un po’ meno soli: abbiamo dovuto passare il primo Natale della bimba in ospedale, ci sono stati di grandissimo aiuto in un periodo davvero duro”. I volontari, infatti, frequentano le corsie del reparto, portano libri, giocattoli, allegria. O una spalla per piangere. A volte, addirittura, danno il cambio coi bambini ai genitori che hanno bisogno di uscire, sgranchirsi le gambe, prendere un caffè.


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